La natura di lavoro “a contratto” o “a progetto” non poteva essere sostenuta a causa del controllo “particolarmente accentuato ed invasivo” da parte dell’azienda, dunque la lavoratrice ha diritto al posto con contratto a tempo indeterminato.
La Suprema Corte di Cassazione ha confermato la sentenza della Corte d’Appello sostenendo che era stato sufficientemente provato dalla Corte che «l’attività si svolgeva all’interno dei locali aziendali e che la lavoratrice doveva coordinarsi con le esigenze organizzative aziendali” e “quindi – la lavoratrice – era pienamente inserita nell’organizzazione della società, utilizzando strumenti e mezzi di quest’ultima senza alcun rischio di’impresa».
Inoltre, dice la Cassazione, l’attività era sottoposta «ad istruzioni specifiche, sia nell’ambito di briefing finalizzati a fornire informazioni e specifiche in merito alle prestazioni contrattuali» sia anche «con puntuali ordini di servizio, sia a seguito dell’intervento dell’assistente di sala», quindi si giunge a dire che tra strumenti informatici e controlli da parte dell’assistente di sala si arrivava «ad un controllo particolarmente accentuato ed invasivo, non usuale neppure per la maggior parte dei rapporti subordinati esistenti e quindi inconciliabile con il rapporto autonomo».