L’obbligo di fedeltà coniugale costituisce una regola di condotta imperativa, oltreché una direttiva morale di particolare valore sociale.
La sua violazione può essere eccezionalmente giustificata solo se in precedenza si sia determinata una crisi del rapporto coniugale (Cassazione Sezione Prima Civile n. 7859 del 9 giugno 2000)
La separazione coniugale può essere addebitata al coniuge che abbia violato l’obbligo di fedeltà senza che in precedenza il rapporto coniugale sia entrato in crisi.
In linea di principio deve ritenersi comportamento contrario ai doveri nascenti dal matrimonio la violazione, in assenza di una consolidata separazione di fatto, dell’obbligo della fedeltà coniugale, che costituisce una regola di condotta imperativa (art. 143 comma 2 cod. civ.), oltre che una direttiva morale di particolare valore sociale, e che assume una gravità ancora maggiore allorché venga attuata in maniera reiterata o, addirittura, attraverso una stabile relazione extraconiugale.
Determinando normalmente l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, essa deve ritenersi, di regola, causa della separazione e ne giustifica pertanto l’addebito, potendosi presumere che abbia esercitato in tale direzione un ruolo decisivo, secondo il criterio dell’“id quod plerumque accidit”.
Solo eccezionalmente, qualora risulti, attraverso un’indagine rigorosa e penetrante ed una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, l’irrilevanza di una tale violazione per mancanza di un nesso di causalità con la crisi coniugale, irrimediabilmente già in atto in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale, può escludersi l’addebitabilità, trattandosi in tal caso di comportamenti successivi al determinarsi di tale situazione.