“Il diritto del lavoratore a non essere trasferito ad altra sede lavorativa senza il suo consenso non può subire limitazioni anche allorquando la disabilità del familiare non si configuri come grave risultando la sua inamovibilità – nei termini in cui si configuri come espressione del diritto all’assistenza del familiare comunque disabile – giustificata dalla cura e dall’assistenza da parte del lavoratore al familiare con lui convivente, sempre che non risultino provate da parte del datore di lavoro – a fronte della natura e del grado di infermità (psico-fisica) del familiare – specifiche esigenza datoriali che, in un equilibrato bilanciamento tra interessi, risultino effettive, urgenti e comunque insuscettibii di essere diversamente soddisfatte.”.
Questo il principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione che, con sentenza n. 9201 del 7 giugno 2012, ha accolto il ricorso di un lavoratore avverso la sentenza del giudice d’appello con cui, confermando quanto deciso in primo grado, veniva respinta la sua domanda diretta ad impugnare il trasferimento presso un’altra sede di lavoro, ritenuta troppo distante per poter assistere il proprio fratello disabile.
Nello specifico la Suprema Corte, ricostruendo la cornice normativa in cui la vicenda si sviluppa – il 1997 in cui vigeva la disciplina non ancora novellata della legge n. 104 del 1992 – e delineando l’evoluzione delle agevolazioni accordate al familiare lavoratore che assiste un soggetto portatore di handicap con le modifiche apportate prima dalla legge n. 53 del 2000 e successivamente dalla legge 183 del 2010, sottolinea come la Corte di legittimità ha più volte evidenziato la centralità del ruolo della famiglia nell’assistenza del disabile e precisa che l’applicazione dell’art. 33, comma 5 della legge 104 del 1992 postula di volta in volta, un bilanciamento di interessi che non può che portare ad una valorizzazione delle esigenze del lavoratore e a privilegiare le esigenze del lavoratore che sia parte della comunità familiare nel cui ambito vi sia persona con disabilità riconoscendo un onere rafforzato che incombe sul datore di lavoro con riferimento all’esigenza dell’impresa di variare la sede lavorativa- Nella fattispecie – si legge nella sentenza – non sono state addotte e provate dal datore di lavoro, ragioni capaci di incidere sul diritto del disabile a ricevere anche nell’ambito della comunità familiare una tutela della sua persona nei suoi diversi aspetti e la Corte territoriale ha ritenuto legittimo il trasferimento del lavoratore per il fatto che nella specie non ricorreva una situazione di accertata gravità delle condizioni del familiare disabile senza però che in alcun modo fosse provata alcuna ragione che, in una situazione di contrapposizione di interessi tutti copertura costituzionale, potesse valere alla stregua di un corretto bilanciamento di interessi a legittimare il trasferimento disposto dalla società ed a privare il disabile del suo sostegno familiare.