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Cassazione: analfabetismo non è scusante per chi evade il fisco
25 Giugno 2012
La posta elettronica ha valore legale, Sentenza n.4061 del 19 febbraio
25 Giugno 2012
Published by Carlo on 25 Giugno 2012
Categories
  • Diritto del Lavoro
  • Sentenze
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    Il D.L. 30 ottobre 1984, n. 726, convertito con modificazioni nella L. 19 dicembre 1984, n. 863, all’art. 5, comma 10, prevede che la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale è ammessa solo su accordo delle parti, risultante da atto sritto, convalidato dall’Ufficio Provinciale del Lavoro e sentito il lavoratore interessato. Ricordando il citato dettato normativo, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 24476 del 21 novembre 2011, ha rigettato il ricorso di una società avverso la sentenza con cui la Corte d’Appello l’aveva condannata al pagamento delle ore prestate in meno, rispetto a quelle previste contrattualmente, ad un dipendente al quale la società aveva ridotto l’orario di lavoro senza il suo consenso. La Corte di merito, con motivazione condivisa dalla Suprema Corte, spiegava che “la riduzione dell’orario di lavoro di cui si discuteva era quella oggetto della disposizione datoriale del mese di agosto 1999 e non poteva trovare il proprio fondamento nel precedente accordo risalente al 1990; inoltre, la mancanza della forma scritta, richiesta ad substantiam per la riduzione consensuale del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale ex art. 5, comma 10, L. n. 863/84, comportava la nullità della clausola contenente la suddetta riduzione oraria di lavoro, con conseguente conversione del contratto a tempo parziale in rapporto a tempo pieno e con correlato diritto del lavoratore a vedersi retribuite le ore lavorative non prestate per determinazione unilaterale della parte datoriale”.

    Nel caso in esame, precisano i giudici di legittimità, la Corte d’Appello ha compiutamente accertato che la riduzione dell’orario di lavoro era stata disposta unilateralmente dalla parte datoriale senza il consenso del lavoratore, per cui non poteva ricadere su quest’ultimo l’onere di dimostrare di aver inutilmente messo a disposizione le proprie energie lavorative al fine di reclamare il pagamento delle restanti ore lavorative, il cui svolgimento non gli era stato consentito dalla controparte.

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    Carlo
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