La responsabilità della struttura ospedaliera, fondata sul “contatto sociale”, ha natura contrattuale.Lo ha ribadito dalla Terza Sezione Civile della Cassazione con la sentenza 3 febbraio 2012, n. 1620, richiamando i principi di diritto affermati nelle SS.UU.577/2008.Precisano i giudici di legittimità che tale con il contratto, qualificato dai servizi fondamentali e meritevoli di tutela che la struttura sanitaria eroga nel nostro ordinamento, sorge in capo alla struttura stessa una prestazione di assistenza sanitaria che, oltre alla prestazione medica, ingloba al suo interno una serie di obblighi accessori e di protezione.
Affinché possa richiamarsi l’art. 1228 c.c. – aggiungo i giudici – è necessario e sufficiente che il medico operi all’interno della struttura a prescindere dalla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato data la palese ed evidente esistenza di un collegamento funzionale tra la prestazione del medico e le finalità, nonché l’organizzazione, delle strutture sanitarie.In caso di inadempimento della prestazione sanitaria troverà pertanto applicazione la disciplina normativa di cui all’art. 1218 c.c. e la conseguente ripartizione dell’onere della prova.
Dunque, una volta riconosciuta l’esistenza del contratto di spedalità tra il paziente e la struttura spetterà a quest’ultima dimostrare l’esatto adempimento, o il mancato adempimento per causa ad essa non imputabile, di quella serie di prestazioni che sorgono in capo alla struttura in seguito all’accettazione del paziente nell’istituto di cura.
Ciò, indipendentemente dal rapporto, fiduciario o meno, esistente tra il paziente e il medico che concretamente pone in essere l’attività diagnostico-terapeutica.