Può bastare una frase poco felice del tipo “Lei non sa chi sono io……” per far scattare una condanna per minaccia.
È quanto afferma la quinta sezione penale della Corte di Cassazione nella sentenza n.11621/2012 spiegando che si tratta di un’espressione in grado di limitare la libertà psichica dell’interlocutore attraverso la prospettazione di un pericolo che un male ingiusto possa essere procurato alla vittima.
Tale limitazione alla libertà, secondo la Corte, costituisce elemento essenziale del reato di minaccia.
Non è necessario, si legge nella sentenza, “che uno stato di intimidazione si verifichi concretamente in quest’ultima, essendo sufficiente la sola attitudine della condotta ad intimorire” ed è del pari irrilevante il fatto che il male minacciato sia indeterminato. Inizialmente il Giudice di pace di Salerno aveva assolto l’imputato ritenendo che non vi fosse idoneità offensiva nelle espressioni pronunciate.
Contro il verdetto di assoluzione proponeva però ricorso in Cassazione il procuratore generale presso la corte d’appello di Salerno. I giudici di piazza Cavour, accogliendo la tesi della procura, hanno anche evidenziato come una simile espressione debba essere valutata nel contesto in cui è stata pronunciata prima di poter escludere la sua valenza minatoria.
Ed è per questo che la vicenda dovrà essere nuovamente valutata dal giudice di rinvio che dovrà quindi prendere in considerazione la particolare situazione di alta tensione verbale durante la quale l’imputato ha utilizzato un’espressione incriminata.
Anche l’indeterminatezza del male minacciato, spiega la Corte, non può scagionare l’imputato giacché è sufficiente che questo male sia ingiusto e possa essere dedotto dalla situazione contingente.