La Corte di Cassazione, con sentenza n. 12119 del 16 luglio 2012, ha affermato che “con riferimento alla utilizzazione da parte del lavoratore di documenti aziendali di carattere riservato, occorre distinguere tra produzione in giudizio dei documenti detti al fine di esercitare – come nella specie – il diritto di difesa, di per sé da considerarsi lecita (per la prevalenza di detto diritto ed anche in virtù di quanto previsto dall’art. 12 della legge n. 675 del 1996) e impossessamento degli stessi documenti, le cui modalità vanno in concreto verificate”.
In particolare la Suprema Corte ha precisato che la Corte territoriale, dopo avere esposto i fatti all’origine della contestazione disciplinare posta a base del provvedimento (il lavoratore si sarebbe introdotto presso i locali dove era il suo ufficio ed avrebbe prelevato documentazione riservata prodotta nel procedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c. iniziato dal lavoratore) e, dopo avere dato atto che il primo Giudice aveva ritenuto inefficace detto licenziamento, perché intimato quando il rapporto era ormai risolto per effetto del primo licenziamento, senza prendere posizione sui contrasti giurisprudenziali in materia è entrato nel merito della vicenda, escludendo la sussistenza dei presupposti di legittimità del provvedimento, confermandone l’inefficacia come ritenuto in primo grado. La Corte d’appello – affermano i giudici di legittimità – ha compiutamente esaminato la controversia ed ha ritenuto che il fatto che il lavoratore fosse entrato in azienda nel periodo in cui risultava cautelativamente sospeso non poteva ritenersi comportamento idoneo a sorreggere da solo il provvedimento espulsivo sul rilievo che “la mera introduzione nei locali, asseritamente per prelevare documenti personali” era “stata ritenuta non rilevante in sé e considerata come episodio di mera cortesia usata nei suoi confronti”.