La Cassazione ha rigettato il ricorso di un ex marito che non ne voleva sapere di versare l’assegno divorsile alla ex moglie che, a suo dire, sarebbe stata in grado di procurarsi un reddito adeguato da se.
Inizialmente il tribunale di Napoli nel pronunciare il divorzio aveva disposto l’affidamento dei figli ad entrambi i genitori, che però rimanevano a vivere con la madre.
La signora, C.G., aveva ottenuto l’assegnazione della casa di familiare e un assegno mensile di mantenimento per i figli (una figlia minorenne e un figlio maggiorenne) di 950 euro.
La donna, però, aveva chiesto di poter avere anche lei un assegno di mantenimento, facendo la casalinga ormai da anni e non riuscendo a trovare assolutamente nulla di stabile o abbastanza remunerativo per poter vivere dignitosamente. Il Tribunale aveva escluso però il contributo economico per la donna sulla base del fatto che l’ex moglie non aveva dimostrato la sua impossibilità di procurarsi un reddito adeguato. Il verdetto veniva poi ribaltato dalla Corte di appello di Napoli che faceva notare come la dedizione della donna al menage familiare e all’accudimento dei figli le avesse reso obiettivamente difficile procurarsi un lavoro. In effetti la la donna aveva tentato varie strade per “ricollocarsi” nel mondo del lavoro: dalle liste di collocamento alle agenzie interinali.
Senza mai ottenere nulla di concreto. Secondo in giudici dell’appello, dunque, la sua richiesta doveva considerarsi più che legittima, in quanto diritto di una ex è mantenere “un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio, fissate al momento del divorzio”. Inoltre essendo il marito un ex-ufficiale in pensione dell’Esercito italiano esistevano i mezzi necessari per passare l’assegno richiesto, cioè 250 euro mensili. Nemmeno un’esagerazione visti i tempi e la svalutazione!
La Cassazione, a cui l’uomo si era rivolto per rigettare le richieste della moglie (oltre che per ridurre la cifra destinata ai figli), ha dato ragione alla donna. Con sentenza 10540/2012, la Sesta Sezione Civile ha ricordato inoltre che la legge (L. 01.12.1970, n. 898, art. 5) “impone di tener conto dei miglioramenti della condizione finanziaria dell’onerato, anche se successivi alla cessazione della convivenza” e che quindi la cifra stabilita va rivalutata annualmente.