Con la pronuncia oggi in rassegna la Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione ha affermato che le obbligazioni scaturenti dalla domanda del lavoratore illegittimamente licenziato volta al riconoscimento della indennità sostitutiva della reintegra nel posto di lavoro – con la consequenziale richiesta anche del risarcimento dei danni connessa all’esercizio del diritto potestativo di opzione – sono compiutamente disciplinate dalla disposizione del comma 5 dell’art. 18 della Legge 20 maggio 1970 n. 300, che, in ragione della specificità del rapporto lavorativo e delle esigenze che con tale disposizione si sono intese soddisfare, si configura come una norma speciale che osta, oltre che alla qualificazione delle suddette obbligazioni in termini di obbligazioni alternative o facoltative, anche all’applicazione dei generali principi codicistici correlati alla suddetta qualificazione. Ne consegue che l’interpretazione letterale della disposizione statutaria, doverosa per il suo chiaro tenore, comporta un proprio ambito applicativo che si articola per quanto attiene alla liquidazione dei danni rivendicati dal lavoratore nei seguenti termini: per il periodo antecedente all’esercizio del diritto di opzione, il risarcimento dei danni va liquidato alla stregua delle regole dettate dal precedente comma 4° dell’art. 18 e l’esercizio del diritto di opzione determina la risoluzione del rapporto lavorativo; per il periodo successivo a tale momento, il mancato pagamento della indennità sostitutiva non è risarcibile alla stregua delle regole di cui al comma 4° dell’art. 18, dovendo in seguito alla risoluzione definitiva del rapporto lavorativo trovare applicazione i principi codicistici dettati in tema di inadempimento delle obbligazioni pecuniarie, con la assoluta indifferenza ai fini parametrici del risarcimento del danno -della retribuzione globale in precedenza riconosciuta al lavoratore ed a maggior ragione di quella di cui alla normativa contrattuale successiva alla risoluzione del rapporto. In sostanza, precisano i Giudici di Piazza Cavour, dopo l’esercizio del diritto di opzione – diritto potestativo – la reintegrazione, in virtù della scelta irrevocabilmente effettuata dal lavoratore, diviene inesigibile e di conseguenza, rispetto ad una prestazione inesigibile non è configurabile un inadempimento del datore che genera le conseguenze risarcitorie ispirate alla continuità giuridica del vincolo. Tale continuità, come peraltro evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità anche in altre occasioni, è sicuramente da escludere ove la facoltà di opzione sia stata irrevocabilmente espressa e ciò risulta coerente con la previsione di una somma forfetizzata che cristallizza l’obbligo residuale del datore di lavoro, non più riferito alla reintegrazione, obbligo, quest’ultimo, rispetto al quale soltanto, proprio a conferma della diversità strutturale delle situazioni, il datore di lavoro che contesti la richiesta risarcitoria pervenutagli dal lavoratore è facultato, con l’ausilio di presunzioni semplici, alla prova dell”‘aliunde perceptum” o dell'”aliunde percipiendum”.