La Corte di Cassazione, con la sentenza oggi in rassegna, ha precisato che i dati catastali ed il tipo di frazionamento richiamati nel contratto di vendita, quali elementi testuali della volontà negoziale, assumono carattere primario per l’interpretazione dell’effettivo intento negoziale delle parti e per l’esatta identificazione del bene trasferito, anche nel caso di vendita a corpo, in quanto l’irrilevanza dell’estensione del fondo, in tale tipo di vendita, vale solo in relazione alla determinazione del prezzo, nei limiti dell’art. 1538, co. 1 c.c., ma non ai fini della identificazione del bene.
Cassazione Civile – Sentenza 18 dicembre 2012 , n. 23365
Idati catastali ed il tipo di frazionamento richiamati nel contratto di vendita, quali elementi testuali della volontà negoziale, assumono carattere primario per l’interpretazione dell’effettivo intento negoziale delle parti e per la esatta identificazione del bene trasferito, anche nel caso di vendita a corpo, in quanto l’irrilevanza dell’estensione del fondo, in tale tipo di vendita, vale solo in relazione alla determinazione del prezzo, nei limiti dell’art. 1538 co. 1, Cod. Civ., ma non ai fini della identificazione del bene.
Cfr. Cass. n. 501/2006; Cass. n. 7720/2000.
La disciplina del contratto definitivo può anche non conformarsi a quella del preliminare, salvo che i contraenti non abbiano espressamente previsto che essa sopravviva sicché “unica fonte dei diritti e della obbligazioni inerenti al particolare negozio voluto”, ai fini dell’identificazione del relativo contenuto, rimane il contratto definitivo, ove esaurisca gli obblighi a contrarre previsti nel preliminare
Cfr. Cass. n. 90637/2012; Cass. n. 7206/1999.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SECONDA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Illl.mi Sigg.ri Magistrati:
Cott. FRANCISCO FELICETTI – Presidente –
Dott. LAURENZA NUZZO – Rel. Consigliere –
Dott. LINA MATERA – Consigliere –
Dott. FELICE MANNA – Consigliere –
Dott. VINCENZO CORRENTI – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA N. 23365/2012
sul ricorso 27077-2006 proposto da:
V. F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA PIRAMIDE CESTIA 1, presso lo studio dell’avvocato G. ALFIO, rappresentato e difeso dall’avvocato PATTI GIOVANNI ROSARIO;
– ricorrente –
contro
G. LUCIA, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato SPAMPINATO ROSARIO FILIPPO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 155/2006 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 17/02/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/10/2012 dal Consigliere Dott. LAURENZA NUZZO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. AURELIO GOLIA che ha concluso per rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione 13.1.98 V. F. conveniva in giudizio, innanzi al Pretore di Acireale, G. Lucia per sentirla condannare alla integrazione della superficie di terreno vendutagli con atto per notar Tropea del 29.12.1989. Esponeva che da una recente misurazione era emersa un’estensione del fondo consegnato di are 79,50 anziché di are 84,40, come indicato nell’atto di compravendita e nella planimetria allegata.
L’attore chiedeva, inoltre, la condanna della convenuta ai frutti non percepiti dalla porzione di terreno non consegnata.
Costituitasi in giudizio la G. concludeva per il rigetto della domanda ed, in via riconvenzionale, per la condanna del V. F. alla installazione, a proprie spese, sul muretto già predisposto da essa convenuta, della rete metallica descritta nel rogito.
Espletata C.T.U., con sentenza 31.12.2001, il Tribunale di Catania rigettava la domanda del V. F. ed accoglieva quella riconvenzionale.
Osservava che la domanda del V. F. doveva qualificarsi come azione di regolamento di confini e che la superficie mancante dal terreno compravenduto, secondo la C.T.U., era stata individuata nel lato sud della particella 138 e, cioè lungo il confine con terzi estranei alla causa.
Avverso detta sentenza il V. F. proponeva appello cui resisteva la G..
Con sentenza depositata il 17.2.2006 la Corte di Appello di Catania rigettava l’appello compensando fra le parti le spese del grado.
Rilevava la Corte territoriale che la compravendita aveva ad oggetto non una certa estensione di terreno ma un fondo puntualmente individuato non solo con riferimento ai suoi confini, ma anche in relazione alle particelle 138 e 212 di cui al tipo di frazionamento catastale, facente parte integrante del contratto1 sicché la superficie mancante riguardava il confine sud della particella 138 intercorrente con terzi estranei alla controversia.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso V. F. formulando cinque motivi. Resiste con controricorso G. L..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorrente deduce:
1) violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. sull’interpretazione del contratto e conseguente apparente o insufficiente e contraddittoria motivazione derivante della prova documentale su punto decisivo della controversia; la Corte di merito aveva erroneamente affermato, nella parte relativa alto “svolgimento del processo”, che “nella compravendita si era precisato che la superficie catastale era quella sopra detta, mentre quella reale era per la p.lla 138 di are 44,60 e per la p.lla 212 di are 39,80”, non tenendo conto che nel testo del contratto e nel richiamato frazionamento allegato, era riportata sia la superficie reale che catastale del fondo venduto con l’indicazione, inoltre, nel contratto, della superficie complessiva alienata per mq. 8440; a fronte della contrastante indicazione dell’estensione dei beni oggetto della vendita, come riportata in contratto e nel tipo di frazionamento allegato, apoditticamente la sentenza impugnata aveva fatto riferimento alla “chiara lettura del rogito” per applicare il criterio letterale di interpretazione del contratto, omettendo di ricorrere agli altri criteri ermeneutici;
2) violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. sull’interpretazione del contratto “secondo l’intenzione” (art. 360 co. 1 c.p.c.) e conseguente insufficiente e contraddittoria motivazione risultante dal testo della sentenza su punto decisivo,laddove la Corte d’appello aveva escluso la possibilità di esaminare il contratto preliminare benché funzionalmente collegato al contratto definitivo, tenuto conto che la promittente venditrice aveva assunto l’obbligo di alienare “un tratto di terreno agricolo della superficie di circa mq. 8.400 (…) da staccarsi da un apprezzamento di maggiore consistenza…”, con frazionamento delle particelle 212 e 138 e con la previsione che la misurazione del terreno sarebbe stata fatta concordemente dalle parti, tramite l’ing. G. M., a spese comuni;
3) violazione e falsa applicazione dell’art. 1476, co. 1, n. 1 e 2 c.c.; la Corte di merito, rifacendosi alle risultanze della C.T.U. che aveva accertato una minore estensione della particella 138, aveva affermato che la superficie mancante di detta particella poteva recuperarsi con lo spostamento del confine sud,riguardante terzi estranei nei cui confronti il V. F. avrebbe potuto agire ex art. 950 c.c.; tale affermazione contrastava con la comune intenzione delle parti desumibile dal contratto preliminare ove era previsto che la consistenza del terreno alienato era da rapportarsi alto “stacco del terreno di maggiore estensione della venditrice”;
la mancata consegna di mq. 490 del terreno alienato comportava, quindi, una violazione del contratto;
4) violazione e falsa applicazione dell’art. 113 co. 1 c.p.c. quanto al rigetto della domanda riconvenziona le relativa alla fruttificazione derivata dal mancato accoglimento della domanda principale;
5) illegittimità della sentenza per omessa condanna della controparte alle spese dei due gradi di giudizio ed insufficiente contraddittoria motivazione sul punto, disposto che il giudice di appello aveva motivato la compensazione delle spese processuali, in grado di appello, in base ad un’erronea qualificazione della domanda come azione di regolamento di confine, confermando poi, contraddittoriamente, la condanna dell’appellante alle spese di primo grado, pur essendo la relativa sentenza inficiata dal medesimo errore (errata qualificazione della domanda).
Il ricorso è infondato.
Con il primo motivo viene prospettata una diversa interpretazione del contratto di vendita, esulante dal sindacato di legittimità a fronte di un procedimento interpretativo del giudice di appello sorretto da congrua e logica motivazione.
La sentenza impugnata ha, infatti, individuato l’oggetto del contratto in un tratto di terreno con la specificazione dei relativi confini e delle particelle alienate (138 e 212), indicate nel tipo di frazionamento catastale, espressamente richiamato in contratto e, quindi, facente parte integrante di esso.
Considerata la concreta specificazione delle particelle oggetto della vendita e della rispettiva superficie, correttamente la Corte territoriale ha ritenuto irrilevante la indicazione nel contratto di una maggiore estensione del-la superficie complessiva alienata, avuto riguardo, inoltre, al fatto che il prezzo era stata convenuto “a corpo” e che, come accertato dal C.T.U., la superficie mancante era da ricercarsi sul confine sud della p.lla 138, riguardante la proprietà di terzi estranei alla causa.
Né è dato ravvisare alcuna violazione dei criteri ermeneutici, avendo la Corte territoriale interpretato la volontà contrattuale sulla base di on accertamento in fatto riservato, com’è noto, al giudice di merito.
Va poi rammentato che la Corte di legittimità ha affermato il principio secondo cui i dati catastali ed il tipo di frazionamento richiamati in contratto, quali elementi testuali della volontà negoziale,assumono carattere primario per l’interpretazione dell’effettivo intento negoziale delle parti e per la esatta identificazione del bene trasferito, anche nel caso di vendita a corpo, in quanto l’irrilevanza dell’estensione del fondo, in tale tipo di vendita, vale solo in relazione alla determinazione del prezzo, nei limiti dell’art. 1538, co. 1° c.c., ma non ai fini della identificazione del bene (Cfr. Cass. n. 501/2006; n. 7720/2000; n. 3042/ 1987).
La seconda e la terza censura sono pure prive di fondamento e vanno esaminate congiuntamente per la loco evidente connessione in quanto attinenti entrambe al tenore del contratto preliminare intercorso fra le parti.
Al riguardo e sufficiente ribadire quanto già rilevato nella sentenza impugnata in ordine al superamento di tale contratto in conseguenza dalla successiva stipulazione del contratto definitivo la cui disciplina può anche non conformarsi a quella del preliminare, salvo che i contraenti non abbiano espressamente previsto che essa sopravviva sicché “unica fonte dei diritti e della obbligazioni inerenti al particolare negozio voluto”, ai fini dell’identificazione del relativo contenuto, rimane contratto definitivo, ove esaurisca, come nella specie, gli obblighi a contrarre previsti nel preliminare (Cfr. Cass. n. 906372012; n. 7206/99).
Il quarto motivo e superato dai rilievi svolti.
Va respinta, infine, la quinta cesura in quanto non rapportata alla “ratio decidendi” della sentenza di appello, motivata, relativamente alla conferma della condanna del V. F. alle spese di primo grado, con riferimento al difetto di specifica doglianza sul punto, avendo il V. F. chiesto il pagamento delle spese processuali di entrambi i gradi “sull’esclusivo presupposto” dell’accoglimento della domanda.
Al rigetto del ricorso consegue, secondo il criterio della soccombenza, la condanna del ricorrente al pagamento, in favore della resistente, delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che si liquidano in euro 2.200,00 di cui euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 18.10.2012.
IL PRESIDENTE
Francisco Felicetti
IL CONSIGLIERE EST.
Laurenza Nuzzo
Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2012