CASSAZIONE CIVILE
La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha ribadito che la sentenza può essere oggetto di esecuzione forzata solo se la condanna al pagamento di quanto dovuto dal datore di lavoro non è generica ossia se il relativo credito risulti da operazioni meramente aritmetiche eseguibili sulla base dei dati contenuti nella sentenza (Cass., Sez. Lav., n. 11677 del 1/6/2005; Cass., sez. lav., n. 24242 del 30/11/2010 e Cass., sez. lav., n. 8067 del 2/4/2009). Non ricorrono tali estremi – opina la Corte – nell’ipotesi di errato inquadramento e conseguente condanna del datore di lavoro al versamento delle relative differenze retributive ove nel titolo difetti la indicazione dei dati indispensabili per la determinazione delle differenze retributive che avrebbero dovuto rappresentare la somma oggetto di condanna, quali l’importo della retribuzione percepita e gli specifici elementi della retribuzione contrattuale.
Giudizio civile – Sentenza – Sentenza di condanna – Genericità della sentenza – Esecutività immediata – Esclusione – Fondamento
L’esecutività immediata di un titolo giudiziale, quale la sentenza di condanna, discende dal fatto che lo stesso titolo deve possedere di per se gli elementi atti a consentirne l’automatica esecuzione, senza la necessità di dover ricorrere ad ulteriori calcoli da elaborare sulla base di elementi altrettanto genericamente indicati. Diversamente una tale efficacia non sarebbe immediata ma finirebbe per dipendere di volta in volta da fattori esterni alla decisione e dall’esito finale non sempre prevedibile (1). (Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto non sufficienti, per l’esecuzione forzata, che la sentenza contenesse degli elementi che avrebbero consentito un calcolo matematico delle spettanze)
(1) Cass., sez. Lav., 1-6-2005 n. 11677; Cass., sez. Lav., 30-11-2010 n. 24242; Cass., sez. Lav., 2-4-2009 n. 8067.
Giudizio civile – Spese Processuali – Compensazione – Giusti motivi – Giudizi incardinati prima del 2005 – Sufficienza – Sindacato di legittimità – Limiti
L. 28 dicembre 2005 n. 263, art. 2 co. 1.lett. a
Nell’ipotesi di procedimento incardinato nel periodo anteriore all’entrata in vigore della modifica introdotta dall’art. 2 co. 1, lett. a), L. 28 dicembre 2005 n. 263, poteva ritenersi all’epoca sufficiente, ai fini della integrale compensazione delle spese, il richiamo ai “giusti motivi”. In tema di compensazione delle spese processuali ex art. 92, Cod. Proc. Civ., il sindacato della Suprema Corte è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, mentre rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare, in tutto o in parte, le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altre giuste ragioni (2).
(2) Cass., sez. V, 6-10-2011 n. 20457.
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FABRIZIO MIANI CANEVARI – Presidente
Dott. MAURA LA TERZA – Consigliere
Dott. GIANFRANCO BANDINI – Consigliere
Dott. LUCIA TRIA – Consigliere
Dott. UMBERTO BERRINO – Rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente
sul ricorso 24980-2007 proposto da:
R. A., elettivamente domiciliato in ROMA VIA FEDERICO CESI 21, presso lo studio dell’avvocato TORRISI MASSIMILIANO, rappresentato e difeso dall’avvocato LA DELFA CONCETTA, giusta delega in atti;
– ricorrente –
B. S.P.A. già A. Spa;
– intimata –
e sul ricorso 28326-2007 proposto da:
B. S.P.A., già A. S.p.A. in persona del legale rappresentante pro tempore, già elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO 9, presso lo studio dell’avvocato STILE LUCIO, rappresentata e difesa dall’avvocato FORTUNA TULLIO, giusta delega in atti e da ultimo domiciliata presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
R. A.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 502/2007 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 30/04/2007 R.G.N. 1672/2004;
udita la relazione della causa svelte nella pubblica udienza del 08/11/2012 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per rigetto del ricorso principale e del ricorso incidentale.
Con sentenza del 5/4 – 30/4/07 la Corte d’appello di Palermo, in accoglimento del gravame proposto dalla società B. s.p.a (già A. s.p.a), ha riformato la sentenza emessa il 22/4/04 dal giudice del lavoro del Tribunale di Palermo, il quale aveva rigettato la domanda della predetta società volta a sentir dichiarare l’inidoneità, ai fini esecutivi, della sentenza n. 1052/03 del giudice del lavoro del Tribunale di Catania azionata nei suoi confronti da R. A..
In effetti, con la sentenza posta a base della predetta esecuzione, il giudice catanese aveva dichiarato il diritto, in favore di diversi dipendenti della società, tra i quali l’odierno ricorrente, all’inquadramento nel 3° livello del CCNL del settore commercio con decorrenza dal 2/4/99, condannando la medesima compagine societaria al versamento delle relative differenze retributive a decorrere dall’1/1/99. Conseguentemente la Corte di merito ha accertato l’inidoneità della predetta sentenza del giudice catanese a costituire titolo per l’esecuzione forzata, dopo aver ritenuto che la stessa conteneva solo una condanna generica, non suscettibile di autonoma esecuzione, ed ha compensato interamente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso il R. A., il quale affida l’impugnazione a due motivi di censura.
Resiste con controricorso la società B. s.p.a che propone, a sua volta, ricorso incidentale avverso il capo della sentenza relativo alla disposta compensazione delle spese.
La ricorrente deposita, altresì, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Preliminarmente la Corte riunisce i ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c..
Col primo motivo il ricorrente principale censura l’impugnata sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 431 e 474 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., adducendo che la Corte d’appello ha errato nell’affermare che la sentenza posta in esecuzione, cioè la sentenza n. 1052/03 del Tribunale di Catania, non conteneva alcuna indicazione circa l’importo della retribuzione percepita e gli elementi della retribuzione contrattuale del III livello del settore commercio. Invero, secondo il R. A. la suddetta pronunzia conteneva l’indicazione dell’inquadramento, sia di quello goduto del IV livello che di quello riconosciutogli del III livello, oltre che del ccnl del settore di commercio applicabile, con le relative tabelle retributive, e del tipo di accessori di legge spettantigli, per cui, a suo giudizio, era sufficiente un semplice calcolo matematico per la quantificazione del credito azionato.
Col secondo motivo il ricorrente deduce l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., sostenendo che la Corte di merito non ha tenuto conto del fatto che già in primo grado il Tribunale di Catania aveva rigettato i ricorsi per decreto ingiuntivo presentati in favore di due dei nove lavoratori interessati dalla sentenza n. 1052/03, proprio sulla base del rilievo che già esisteva un titolo esecutivo, vale a dire quello rappresentato da quest’ultima pronunzia, che conteneva, a sua volta, i parametri necessari per la determinazione specifica dell’oggetto della condanna. Da tale riflessione il ricorrente fa discendere il suo giudizio di non condivisione della decisione impugnata nella parte in cui si è affermato che la sentenza n. 1052/03 avrebbe potuto essere fatta valere esclusivamente in sede monitoria. Inoltre, secondo tale assunto difensivo, la Corte non aveva considerato che la sentenza n. 1052/03 era stata rilasciata in formula esecutiva in favore del lavoratore e che la Corte d’appello di Catania ne aveva parzialmente sospeso l’efficacia esecutiva in sede di impugnazione a seguito di istanza della controparte. A tal riguardo va, però aggiunto che attraverso la memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c., la difesa della società intimata ha eccepito l’intervenuta formazione del giudicato a seguito della decisione della III sezione civile della Corte d’appello di Palermo che ha definitivamente accertato l’insussistenza del diritto del R. A. a procedere ad esecuzione forzata in base alla citata sentenza n. 1052/03 del giudice del lavoro del Tribunale di Catania.
Osserva la Corte che entrambi i motivi del ricorso principale possono essere trattati congiuntamente essendo sostanzialmente identica, seppur sotto diversi aspetti, la questione ad essi sottesa, vale a dire l’idoneità della sentenza n. 1052/03 del giudice del lavoro del Tribunale di Catania a fungere da titolo per l’esecuzione forzata nei confronti della società intimata.
Entrambi i motivi sono infondati.
Invero, la Corte di merito non ha avuto alcuna difficoltà ad accertare la genericità della sentenza di condanna n. 1052/03 del giudice del lavoro del Tribunale di Catania ai fini dell’intrapresa esecuzione forzata nei confronti dell’odierna intimata, una volta rilevata la mancanza, nel suddetto titolo giudiziale, della indicazione dei dati indispensabili per la determinazione delle differenze retributive che avrebbero dovuto rappresentare la somma oggetto di condanna, quali l’importo della retribuzione percepita e gli specifici elementi della retribuzione contrattuale di cui al 3° livello del CCNL del settore del commercio.
Né può valere a superare tale puntuale rilievo la dedotta circostanza per effetto della quale gli elementi contenuti nella sentenza posta a base dell’esecuzione forzata avrebbero consentito un calcolo matematico delle spettanze: invero, l’esecutività immediata di un titolo giudiziale, quale la sentenza di condanna, non può che discendere dal fatto che lo stesso titolo deve possedere di per se gli elementi atti a consentirne l’automatica esecuzione, senza necessità di dover ricorrere ad ulteriori calcoli da elaborare sulla base di elementi altrettanto genericamente indicati, in quanto diversamente una tale efficacia non sarebbe immediata e finirebbe per dipendere di volta in volta da fattori esterni alla decisione, dall’esito finale non sempre prevedibile.
Ne è riprova il fatto che l’odierno ricorrente, nel tentativo di aggirare il problema scaturente dalla genericità della condanna in esame, si è sforzato di far riferimento a provvedimenti esterni al predetto titolo, quali la decisione di rigetto delle istanze di decreto ingiuntivo da parte del giudice del lavoro di Catania e quella di mancato accoglimento, da parte della Corte d’appello di Catania, dell’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza del giudice del lavoro di Catania.
E’ il caso di ricordare che si è già avuto modo di statuire (Cass. Sez. Lav. n. 11677 dell1/6/2005) che “la sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento, in favore del lavoratore, di un certo numero di mensilità, costituisce valido titolo esecutivo, che non richiede ulteriori interventi del giudice diretti all’esatta quantificazione del credito, solo se tale credito risulti da operazioni meramente aritmetiche eseguibili sulla base dei dati contenuti nella sentenza; se invece la sentenza di condanna non consenta di determinare le pretese economiche del lavoratore in base al contenuto del titolo stesso, in quanto per la determinazione esatta dell’importo sono necessari elementi estranei al giudizio concluso e non predeterminati per legge, o nel caso di sentenza di condanna generica, che rimandi ad un successivo giudizio la quantificazione del credito, la sentenza non costituisce idoneo titolo esecutivo ma è utilizzabile solo come idonea prova scritta per ottenere nei confronti del datore di lavoro un decreto ingiuntivo di pagamento per il credito fatto valere, il cui ammontare può essere provato con altri e diversi documenti.” (in senso conf. v. Cass. sez. lav. n. 24242 del 30/11/2010 e Cass. sez. lav. n. 8067 del 2/4/2009)
Il rigetto dei predetti motivi rende, pertanto, superflua ogni ulteriore valutazione, ivi compresa quella del giudicato introdotta dalla difesa della società con la memoria di cui all’art. 378 c.p.c..
Col ricorso incidentale la difesa della società denunzia la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché l’omessa motivazione, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., sostenendo che la Corte d’appello ha compensato, senza alcuna ragione, le spese del giudizio, nonostante la piena soccombenza del R. A., apparendo del tutto inadeguato, ai fini della disposta compensazione integrale, riferimento all’affermata sussistenza di giusti motivi.
Entrambi i motivi, che possono esaminarsi congiuntamente in quanto connessi, sono infondati.
E’, infatti, agevole osservare che, trattandosi di procedimento incardinato nel periodico, anteriore all’entrata in vigore della modifica introdotta dall’art. 2, comma 1, lett. a), della legge 28 dicembre 2005 n. 263, poteva ritenersi all’epoca sufficiente, ai fini della integrale compensazione delle spese, il richiamo ai giusti motivi, i quali sono evincibili, nella fattispecie, dal complesso della stessa motivazione, dalla quale si deduce che la sentenza posta a base dell’esecuzione conteneva, comunque, degli elementi che avrebbero consentito di azionarla nel diverso procedimento monitorio.
Si è, infatti, affermato (Cass. Sez. 5, n. 20457 del 6/10/2011) che “in tema di compensazione delle spese processuali ex art. 92 cod. proc. civ., (nel testo applicabile “ratione temporis”, anteriore a quello introdotto dalla legge 28 dicembre 2005, n. 263), poiché il sindacato della S.C. è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare, in tutto o in parte, le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altre giuste ragioni, che il giudice di merito non ha obbligo di specificare, senza che la relativa statuizione sia censurabile in cassazione, poiché riferimento a “giusti motivi” di compensazione denota che il giudice ha tenuto conto della fattispecie concreta nel suo complesso, quale evincibile dalle statuizioni relative ai punti della controversia.”
Pertanto, anche il ricorso incidentale va rigettato.
Data la soccombenza prevalente del ricorrente principale, le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo sono poste a suo carico.
La Corte riunisce i ricorsi, il rigetta e condanna il ricorrente principale alle spese del presente giudizio nella misura di euro 2000,00 per compensi professionali ed euro 40,00 per esborsi, oltre IVA e CPA ai sensi di legge.
Così deciso in Roma 1’8 novembre 2012
IL PRESIDENTE
Fabrizio Miani Canevari
IL CONSIGLIERE ESTENSORE
Umberto Berrino
Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2013