ADDEBITO DELLA SEPARAZIONE
La Corte di Cassazione, con la recente sentenza 6 novembre 2012, n. 19112 affronta nuovamente il problema dei così detti matrimoni “bianchi”.
Il fatto diventa rilevante per il diritto quando l’astensione dai rapporti sessuali, non è frutto di un accordo più o meno tacito o più o meno subito, ma è espressione di repulsione e totale disinteresse nei confronti del coniuge e sintomo di mancanza di comunione di affetti.
Il Tribunale di Firenze aveva trattato una causa di separazione respingendo la domanda di addebito del marito respinto, fondando la propria decisione sull’assunto secondo cui il fine del matrimonio non è la “sedatio concupiscentiae” e cioè l’appagamento sessuale che se ne trae. Inoltre, secondo il giudice di primo grado, il rifiuto di intrattenere rapporti sessuali non contrasta con i doveri coniugali e comunque il marito avrebbe tollerato senza troppo discutere la situazione per ben sette anni.
La donna, infatti, dopo la nascita della figlia, aveva cominciato a rifiutare rapporti col marito fino ad escluderlo fisicamente dalla camera da letto.
La Corte d’Appello ha ribaltato la decisione di primo grado sostenendo che l’intimità sessuale è uno dei fini essenziali del matrimonio. Quando il rifiuto del sesso diventa perdurante nel tempo, si tramuta in rifiuto della persona in toto e reca una grave offesa personale al partner. La Corte ha rilevato inoltre che il marito non era rimesto inerte ma aveva più volte spinto la compagna ad ottenere un sostegno psicologico che potesse risolvere il problema, ma senza alcun risultato. La separazione era stata pertanto addebitata alla moglie.
Quindi, quando il coniuge non ricambia le profferte del partner, il menage matrimoniale non si conclude ‘pari e patta’ con una pronuncia di separazione senza determinazione delle colpe, ma – afferma la Suprema Corte – ci sono tutti gli elementi di accusa per acclarare la specifica responsabilità individuale nel fallimento della coppia.
La moglie negli ultimi due anni aveva del tutto trascurato la conduzione e la pulizia della casa riducendola in condizioni invivibili”. Nel confermare la ‘colpa’ dell’insensibile Monica, la Cassazione lascia perdere la faccenda della casa trascurata ma non transige sul resto. “Il persistente rifiuto di intrattenere rapporti affettivi e sessuali con il coniuge, poichè, provocando frustrazione e disagio e, non di rado, irreversibili danni sul piano dell’equilibrio psicofisico, costituisce gravissima offesa alla dignità e alla personalità del partner, configura e integra – affermano i supremi giudici – violazione dell’inderogabile dovere di assistenza morale che ricomprende tutti gli aspetti di sostegno nei quali si estrinseca la comunione coniugale”.
Un comportamento del genere – prosegue l’alta Corte nella sentenza 19112 – non può “in alcun modo essere giustificato” e “legittima pienamente l’addebitamento della separazione, in quanto rende impossibile al coniuge il soddisfacimento delle proprie esigenze affettive e sessuali e impedisce l’esplicarsi della comunione di vita nel suo profondo significato”.