CONTRATTO VENDITA, IMPEGNO DEL VENDITORE AD ELIMINARE I VIZI DELLA COSA VENDUTA
La Cassazione nell’interpretare l’art. 1495 c.c., ha affermato il principio secondo cui l’impegno del venditore all’eliminazione dei vizi della cosa venduta, accettato dal compratore, fa sorgere il corrispondente diritto, che è soggetto alla prescrizione decennale, mentre i diritti alla riduzione del prezzo ed alla risoluzione del contratto restano soggetti alla prescrizione annuale. Precisamente, i Giudici di Piazza Cavour hanno avuto cura di osservare che il contenuto dell’obbligazione “di garantire il compratore… da vizi di cosa”, che nell’art. 1476 n. 3 c.c. è inserita tra le obbligazioni “principali del venditore”, è precisato dagli artt. 1492, 1493 e 1494, i quali attribuiscono al compratore (salve le esclusioni stabilite dagli artt. 1490 e 1491) sia la facoltà di “domandare a sua scelta la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del prezzo, salvo che, per determinati vizi, gli usi escludano la risoluzione”, sia le restituzioni e i rimborsi conseguenti alla risoluzione, sia il “risarcimento del danno”, se il venditore “non prova di avere ignorato senza colpa i vizi della cosa”, e comunque per i “danni derivati dai vizi” stessi.
Ebbene, spiega la Corte, nelle suddette disposizioni si esaurisce la regolamentazione dell’istituto, che pone quindi il venditore in una situazione non tanto di “obbligazione”, quanto piuttosto di “soggezione”, esponendolo all’iniziativa del compratore, intesa alla modificazione del contratto di vendita, o alla sua caducazione, mediante l’esperimento rispettivamente dell’actio quanti minoris o dell’actio redibitoria. Il venditore deve subire tali effetti, che si verificano nella sua sfera giuridica ope iudicis, senza essere tenuto ad eseguire alcuna prestazione, a parte il dare il solvere derivanti dai doveri di restituzione e di risarcimento. La diversa obbligazione di facere, che egli assume impegnandosi a eliminare i vizi della cosa non dà luogo all’estinzione per novazione della garanzia apprestata dagli artt. 1490 ss. c.c., sicché non vi è spazio per ritenere che possa influire sulla sua disciplina, in particolare trasformando da annuale in decennale il termine di prescrizione previsto dall’art. 1495 c.c., che è insuscettibile di modificazioni per volontà delle parti, stante il divieto sancito dall’art. 2936 c.c..
In conclusione, l’ulteriore diritto, che il compratore acquisisce, è soggetto alla prescrizione ordinaria decennale, in quanto è estraneo alla previsione degli artt. 1490 s.. c.c., ma proprio per questa stessa ragione resta applicabile alle azioni edilizie, che al compratore stesso già competevano, la prescrizione annuale che per esse specificamente è stabilita.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROBERTO PREDEN – Primo Pres.te f.f.
Dott. ROBERTO MICHELE TRIOLA – Presidente Sezione
Dott. RENATO RORDORF – Consigliere
Dott. ETTORE BUCCIANTE – Rel. Consigliere
Dott. GIOVANNI AMOROSO – Consigliere
Dott. VINCENZO MAZZACANE – Consigliere
Dott. VINCENZO DI CERBO – Consigliere
Dott. GIOVANNI MAMMONE – Consigliere
Dott. ROBERTA VIVALDI – Consigliere
ha pronunciato la seguente
sul ricorso 28609-2010 proposto da:
G. S.R.L., in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BOCCA DI LEONE 78, presso lo studio dell’avvocato CICALA CURZIO, rappresentata e difesa dall’avvocato GADALETA MAURO, per delega a margine del ricorso;
– ricorrente –
S. S.P.A., in persona del legate rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 73, presso lo studio dell’avvocato DEL VECCHIO ARNALDO, rappresentata e difesa dall’avvocato LAFORGIA MICHELE, per delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 601/2010 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 31/05/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/09/2012 dal Consigliere Dott. ETTORE BUCCIANTE;
uditi gli avvocati Mauro GADALETA, Michele CASTELLANO per delega dell’avvocato Michele Laforgia;
udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. RAFFAELE CENICCOLA, che ha concluso per l’accoglimento del quarto motivo, prescrizione ordinaria.
Con sentenza del 13 aprile 2005 il Tribunale di Bari – adito dalla s.p.a. S. nei confronti della s.r.l. G., rispettivamente alienante e acquirente, di un macchinario – condanna la convenuta a pagare all’attrice il corrispettivo residuo della vendita; respinse le riconvenzionali di riduzione del prezzo, di risarcimento di danni e di condanna dell’altra parte a riparare il bene, formulate nel presupposto che in esso fossero presenti vizi di funzionamento.
Impugnata dalla soccombente, la decisione è stata confermata dalla Corte d’appello di Bari, che con sentenza del 31 maggio 2010 ha rigettato il gravame, ritenendo prescritto ai sensi dell’art. 1495 c.c. il diritto di garanzia fatto valere dalla compratrice ed escludendo la ravvisabilità nella specie di una ipotesi di aliud pro alio.
La s.r.l. G. ha proposto ricorso per cassazione, in base a quattro motivi. La s.p.a. S. si è costituita con controricorso. Sono state presentate memorie dall’una parte e dall’altra.
Con il primo motivo di ricorso la s.r.l. G. lamenta che la Corte d’appello ha erroneamente e ingiustificatamente disconosciute che il macchinario consegnatole era totalmente diverso da quello previsto nel contratto di vendita, poiché operava in maniera manuale anziché automatica e comportava quindi uno snaturamento del processo produttivo nella catena di montaggio nel quale era inserito.
La doglianza va disattesa.
Il giudice a quo non ha affatto negato, in diritto, l’esattezza dei principi giurisprudenziali richiamati dalla ricorrente, tratti dalle norme di cui viene denunciata la violazione, ma ha escluso, in fatto, la loro pertinenza alla vicenda oggetto della causa. Si verte dunque nel campo di apprezzamenti eminentemente di merito, insindacabili in questa sede so non setto il profilo dell’omissione, insufficienza o contraddittorietà della motivazione. Da questi vizi, la sentenza impugnata, risulta immune, poiché il giudice a quo ha dato adeguatamente conto, in maniera esauriente e logicamente coerente, delle ragioni della decisione sul punto, osservando sia che già stragiudizialmente la compratrice aveva segnalato difetti incidenti semmai sulla qualità del macchinario, sia che queste comunque era funzionante e la relativa modalità incideva in ipotesi soltanto sulla resa quantitativa, sicché non si era rivelato del tutto inidoneo ad assolvere la funzione economico-sociale della res promessa e quindi a fornire l’utilità richiesta. I contrari assunti della s.r.l. G. – oltre ad essere incoerenti con la natura dell’azione quanti minoris da essa esercitata in via riconvenzionale, che presuppone la presenza di semplici vizi redibitori – si risolvono nei demandare a questa Corte una valutazione delle risultanze istruttorie diversa da quella motivatamente compiuta dal giudice del merito: il che non può costituire idonea ragione di cassazione della sentenza impugnata, stanti i limiti propri del giudizio di legittimità.
Con il secondo motivo di ricorso la s.r.l. G. deduce di non essersi limitata – contrariamente a quanto ha ritenuto la Corte d’appello – a opporre solo fatti impeditivi del preteso diritto dell’attrice, ma di aver anche contestato la sussistenza di quelli costitutivi, i quali a suo dire erano venuti meno in seguito all’impegno di eliminare i vizi del bene, che la s.p.a. S. aveva assunto.
La censura è in conferente, poiché il giudice di secondo grado non ha mancato di prendere in considerazione la tesi di cui si tratta, che era stata posta a base della domanda riconvenzionale della convenuta, della quale sia confermata la decisione di rigetto già adottata dal Tribunale, ritenendo prescritto il diritto alla garanzia fatto valere dalla s.r.l. G..
Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente si duole dell’affermazione della Corre d’appello, secondo cui era incontroverso tra le parti, che non vi fosse sesta una novazione dell’obbligazione di garanzia e la sua sostituzione con quella ai riparazione del bene, soggetta a prescrizione decennale anziché annuale.
Neppure questa censura può essere accolta.
Anch’essa, come quella formulata con il primo motivo di ricorso, difetta di pertinenza rispetto al petitum delle domande riconvenzionali, ribadite in appello, con le quali era stato chiesta non soltanto la condanna della s.p.a. S. all’eliminazione dei vizi, ma anche la riduzione del prezzo della vendita, in adempimento quindi dell’obbligazione di garanzia, che invece sarebbe rimasta estinta, ove vi fosse stata novazione. D’altra parte, la stessa s.r.l. G. ha escluso di aver aderito all’offerta di riparazione, in quanto era stata condizionata all’invio del macchinario allo stabilimento della società venditrice. Né l’avvenuta sostituzione dell’originaria obbligazione con l’altra può desumersi dalla frase dell’atto introduttivo del giudizio riportata nel ricorso, nella quale si menziona soltanto una proposta transattiva rimasta senza esito, perché non accentata.
Con il quarto motivo di ricorso si sostiene che il riconoscimento dei vizi e l’impegno a eliminarli, da parte della s.p.a. S., seppure non avesse comportato una novazione, avrebbe avuto comunque l’effetto di assoggettare alla prescrizione ordinaria decennale, anziché a quella annuale, il diritto di garanzia fatto valere dalla s.r.l. G. mediante l’azione quanti minoris.
Per la soluzione di tale questione di massima, reputata di particolare importanza, la seconda sezione di questa Corte con ordinanza del 26 marzo 2012, ha prospettato l’opportunità dell’assegnazione del ricorso alle sezioni unite, che in effetti è stata poi discosta dal Primo Presidente.
La giurisprudenza di legittimità è univocamente orientata nel senso che l’impegno del venditore a riparare il bene implica il riconoscimento del vizio da cui esso è affetto e impedisce quindi la decadenza comminata al compratore dall’art. 1495 c.c. per il caso di mancata tempestiva denuncia; l’obbligazione assunta è autonoma e distinta della garanzia che legittima l’esercizio delle azioni di riduzione del prezzo o di risoluzione del contratto, soggette alla prescrizione di un anno dalla consegna, stabilita dalle stesso art. 1495 c.c.; il consenso del compratore (che può essere dato eventualmente per facta concludentia, ma è comunque necessario, trattandosi di operare su un bene ormai di sua proprietà) fa sorgere quindi un nuovo e differente diritto, la cui prescrizione, appunto in ragione di tale diversità, non e disciplinata dalla norma sopra citata e si compie pertanto nel termine ordinario di dieci anni (v., per tutte, Cass. 2, sez. 12 maggio 2000 n. 6089).
È stato altresì precisare, da Cass. sez. un. 21 giugno 2005 n. 132 94, che l’impegno a eliminare i vizi non determina di per sé la sostituzione della nuova obbligazione alla precedente e l’estinzione di questa, poiché un tale effetto novativo, per il disposto dell’art. 1230 c.c., conseguire soltanto a una espressa volontà manifestata in tal senso dalle parti, sicché di regola le due obbligazioni coesistono. Con riferimento a questa ipotesi, con la stessa sentenza, si è altresì affermato – ma il tema era estraneo alla materia del contenderò devoluta in quella sede – che il termine di prescrizione decennale si applica anche alle azioni di riduzione del prezzo e di risoluzione del contratto, poiché “si tratta di assegnare un significato, ai fini dell’esercizio delle azioni edilizie e del relativo termine prescrizionale, alla circostanza che fra le parti è in corso, un tentativo di far ottenere dal compratore il risultato che egli aveva il diritto di conseguire fin dalla conclusione del contratto di compravendita. E altro significato non può essere che quello di svincolare il compratore dai termini e condizioni per l’esercizio delle azioni edilizie, atteso che queste non vengono da lui esercitate in pendenza degli interventi del venditore finalizzati all’eliminazione dei vizi redibitori, al fine di evitare di frapporre ostacoli, secondo le regole della correttezza (art. 1175 c.c.), alla realizzazione della prestazione cui il venditore è tenuto”.
Alla stessa conclusione è poi pervenuta anche Cass. sez. 3, 14 gennaio 2011 n. 747 – ugualmente in via di obiter dictum – ma per ragioni diverse: sulla scorta di una concezione procedimentale della garanzia dei vizi, caratterizzata “da un suo momento genetico (la stipula della convenzione negoziale di compravendita), da un suo (eventuale) momento attuativo/correttivo (l’offerta/richiesta sostitutivo/riparatoria), da un suo momento “processuale attuativo/risarcitorio/caduca torio (richiesta di esatto adempimento/riduzione del prezzo/risoluzione speciale)”, si è ritenuto “evidente come il riconoscimento operoso del venditore sia idoneo ad esaurire definitivamente, sul piano funzionale, una fase del rapporto inter partes, ivi comprese le limitazioni temporali, affatto eccezionali, connesse con le esigenze di stabilità negoziale…, onde la sostituzione, a quegli originari termini iugulatori, dell’ordinanza regula iuris della prescrizione ordinaria, una volta emersa, in via definitiva e con l’accordo delle parti, la nuova e reale giustapposizione di diritti e obblighi (alla riparazione/sostituzione) del compratore e del venditore”, con conseguente esclusione della “perdurante operatività dei limiti (decadenziali e) prescrizionali stabiliti, in via eccezionalmente derogativa, dall’art. 1495 c.c. per tutte le azioni “di garanzia”, e dunque tanto per le azioni edilizie che per quella di esatto adempimento”.
Da questi precedenti – invocati l’uno nel ricorso, l’altro nella memoria dalla s.r.l. G., a sostegno della sua tesi – ritiene il collegio di doversi discostare.
Il contenuto dell’obbligazione “di garantire il compratore… da vizi di cosa”, che nell’art. 1476 n. 3 c.c. è inserita tra quelle “principali del venditore”, è precisato dagli artt. 1492, 1493 e 1494, i quali attribuiscono al compratore (salve le esclusioni stabilite dagli artt. 1490 e 1491) sia la facoltà di “domandare a sua scelta la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del prezzo, salvo che, per determinati vizi, gli usi escludano la risoluzione”, sia le restituzioni e i rimborsi conseguenti alla risoluzione, sia il “risarcimento del danno”, se il venditore “non prova di avere ignorato senza colpa i vizi della cosa”, e comunque per i “danni derivati dai vizi” stessi.
In queste disposizioni si esaurisce la regolamentazione dell’istituto, che pone quindi il venditore in una situazione non tanto di “obbligazione”, quanto piuttosto di “soggezione”, esponendolo all’iniziativa del compratore, intesa alla modificazione del contratto di vendita, o alla sua caducazione, mediante l’esperimento rispettivamente dell’actio quanti minoris o dell’actio redibitoria. Il venditore deve subire tali effetti, che si verificato nella sua sfera giuridica ope iudicis, senza essere tenuto ad eseguire alcuna prestazione, a parte il dare il solvere derivanti dai doveri di restituzione e di risarcimento. La diversa obbligazione di facere, che egli assume impegnandosi a eliminare i vizi della cosa, se non dà luogo all’estinzione per novazione della garanzia apprestata dagli artt. 1490 ss. c.c., sicché non vi è spazio per ritenere che possa influire sulla sua disciplina, in particolare trasformando da annuale in decennale il termine di prescrizione previsto dall’art. 1495 c.c., che è insuscettibile di modificazioni per volontà delle parti, stante il divieto sancito dall’art. 2936 c.c.. Dunque l’ulteriore diritto, che il compratore acquisisce, è soggetto alla prescrizione ordinaria decennale, in quanto è estraneo alla previsione degli artt. 1490 s.. c.c., ma proprio per questa stessa ragione resta applicabile alle azioni edilizie, che al compratore stesso già competevano, la prescrizione annuale che per esse specificamente è stabilita.
Non appaiono idonei a inficiare questa conclusione gli argomenti esposti nelle citate Cass. 13294/2005 e 747/2011. il pericolo che le azioni di riduzione del prezzo e di risoluzione si prescrivano nel periodo in cui il compratore si astiene dall’esercitarle, essendo in corso gli interventi del venditore per l’eliminazione dei vizi, è agevolmente evitabile ponendo in essere atti interruttivi. Non ha riscontro nella disciplina della garanzia per vizi, la quale non prevede l’obbligo di eliminarli, l’assunto secondo cui il momento attuativo/correttivo, originato dall’accordo per la riparazione del bene, possa avere effetto su quello risarcitorio/caduca torio, rappresentato dalle azioni edilizie, tanto da far assimilare il termine di prescrizione previsto per il secondo a quello operante per il primo.
Un analogo effetto edivsivo di una “obbligazione” verso l’altra, era stato ritenuto operante, ma in senso inverso, da Cass. sez. 2, 29 dicembre 1994 n. 11281, secondo cui “il riconoscimento dei vizi della cosa venduta ed il contestuale impegno del venditore ad eliminarli in sede di esecuzione del contratto non è che uno dei modi con cui il venditore, che ha l’obbligo di consegnare una cosa immune da vizi di cui all’art. 1490 c.c., assicura ed attua, l’esatto adempimento della sua prestazione, e, di per sé, non dà luogo, pertanto, ad un accordo novativo se non sia in concreto provata la volontà delle parti di sostituire al rapporto originario un nuovo rapporto con diverso oggetto o titolo, così come richiesto per la novazione dell’art. 1230 c.c. e dell’art. 1231 stesso codice, che estesamente chiarisce come non si abbia novazione nel caso di mera modifica degli elementi accessori della obbligazione; conseguentemente, in mancanza della predetta prova, il riconoscimento dei vizi della cosa venduta e l’impegno a ripararla determina solo l’interruzione del termine di prescrizione annuale di cui all’art. 1495 c.c., e non la sostituzione di questo termine con il nuovo e diverso termine di prescrizione ordinaria”.
Neppure questa tesi – adombrata anche nell’ordinanza di rimessione degli atti al Primo Presidente – appare condivisibile.
Il suo presupposto è che il compratore disponga di una azione “di esatto adempimento” per ottenere dal venditore l’eliminazione dei vizi della cosa: azione compresa tra quelle edilizie e quindi soggetta anch’essa al termine di prescrizione annuale stabilito dall’art. 1495 c.c..
Invece un tale rimedio, come già si è detto, non è apprestato dalla disciplina della garanzia per vizi, che attribuisce al compratore la scelta soltanto tra la riduzione del prezzo e la risoluzione del contratto. Il diritto di ottenere, in alternativa, la riparazione del bene, infatti, è riconosciuto soltanto in particolari ipotesi: limitatamente ai beni mobili, quando “il venditore ha garantito per un tempo determinato il buon funzionamento della cosa venduta”, oppure “gli usi… stabiliscono che la garanzia di buon funzionamento è dovuta anche in mancanza di patto espresso” (art. 1512 c.c., che fissa in sei mesi dalla scoperta il termine di prescrizione); sempre limitatamente ai mobili, “per qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene”, se il venditore è un “professionista” e il compratore un “consumatore” (artt. 128 ss. del codice del consumo, adottato con il decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, che fissano in ventisei mesi dalla consegna il termine di prescrizione).
Che il compratore possa chiedere, indipendentemente da un impegno in tal senso del venditore, la condanna di costui all’eliminazione dei vizi, è stato talora ipotizzato in dottrina anche sotto il profilo del risarcimento del danno in forma specifica: si tratterebbe quindi di un’azione insita nel diritto di garanzia e in quanto tale soggetta anch’essa alla prescrizione annuale. L’assunto appare incompatibile con il disposto dell’art. 1494 c.c., che configura come risarcimento “per equivalente” quello che compete al compratore, poiché lo collega alla riduzione del prezzo o alla risoluzione del contratto, che presuppongono la mancata riparazione del bene.
Si deve quindi concludere nel senso che l’impegno del venditore all’eliminazione dei vizi, accettato dal compratore, fa sorgere il corrispondente diritto, che è soggetto alla prescrizione decennale, mentre i diritti alla riduzione del prezzo e alla risoluzione del contratto restano soggetti alla prescrizione annuale.
Non ne consegue tuttavia, che il ricorso vada rigettato in toto.
Essendo stata comunque investita della questione relativa all’avvenuta estinzione – o non – per prescrizione delle azioni di riduzione del presso e di risarcimento del danno esercitate in via riconvenzionale dalla s.r.l. G., questa Corte può e deve risolverla secondo diritto, indipendentemente dalle argomentazioni svolte in proposito dalle parti. Va allora rilevato che la causa è stata promossa dalla s.p.a. S. con domanda di condanna della convenuta al pagamento del prezzo residuo del macchinario vendutole. Si verte dunque nell’ipotesi prevista dall’art. 1495 c.c., nella parte in cui dispone che il compratore convenuto per l’esecuzione del contratto, anche dopo il decorso del termine annuale di prescrizione “può sempre far valere la garanzia”.
Né la norma può intendersi limitata al caso delle eccezioni; riguarda invece proprio le azioni (riconvenzionali) poiché la garanzia che il compratore può “far valere” implica una pronuncia costitutiva del giudice di riduzione del prezzo o di risoluzione, comportante la modificazione o la caducazione del contratto di vendita.
In questi limiti il ricorso viene pertanto accolto.
Non sussistono le condizioni perché la causa possa essere decisa nel merito, come la s.r.l. G. ha richiesto.
La sentenza impugnata va quindi cassata con rinvio ad altro giudice, che si designa in una diversa sezione della Corte d’appello di Bari, cui viene anche rimessa la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.
La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata; rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Bari, cui rimette anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.
Roma, 25 settembre 2012.
IL PRESIDENTE
Roberto Preden
IL CONSIGLIERE ESTENSORE
Ettore Bucciante
Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2012
IL FUNZIONARIO GIUDIZIARIO
Giovanni Gianbattista