La questione affrontata dalla Corte di Cassazione con la sentenza del 17 luglio 2012, n.12244, si inserisce nell’alveo di un ampio dibattito che coinvolge dottrina e giurisprudenza circa la nozione di retribuzione imponibile ai fini previdenziali.
In particolare, la pronuncia suindicata affronta la specifica questione dell’assoggettabilità a contribuzione dei benefici economici derivanti – per i lavoratori dipendenti di Istituti di credito – dalla concessione di mutui a condizioni agevolate.
In via preliminare è necessario precisare che la questione gravita attorno all’applicazione dell’art. 12, legge 30 aprile 1969, n. 153, nel testo previgente alle modificazioni intervenute con l’art. 6, d.lgs. 2 settembre 1997, n. 314.
Come noto, difatti, il concetto di imponibile previdenziale è stato oggetto di una importante evoluzione legislativa che ha ampliato la nozione di retribuzione ai fini previdenziali.
Superato il principio di corrispettività ex art. 27, d.p.r. n. 797/1955 in materia di assegni familiari, con l’art. 12, l. n. 159/1963, il Legislatore è intervenuto direttamente sulla struttura della retribuzione imponibile, eliminando ogni riferimento alla corrispettività e disponendo, in via generale, che “per la determinazione della base imponibile per il calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale, si considera retribuzione tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro in denaro o in natura, al lordo di qualsiasi ritenuta, in dipendenza del rapporto di lavoro”.
L’evoluzione normativa è continuata con l’emanazione del d.lgs. n. 314/1997, con in quale il Legislatore all’art. 6 ha proceduto alla nuova determinazione del reddito da lavoro dipendente ai fini contributivi, sostituendo l’art. 12, l. n. 153/1969.
in base alla nuova formulazione della norma, “per il calcolo dei contributi di previdenza e assistenza sociale si applicano le disposizioni contenute nell’art. 48 del testo unico delle imposte sui redditi”.
In particolare, ai sensi dell’art. 48 del t.u. – oggetto di riforma ex art. 3, d.lgs. n. 314/1997 – “il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di elargizioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro”.
Con l’intervento portato dal d.lgs 314/1997, pertanto, il Legislatore ha unificato il sistema impositivo contributivo e fiscale, ponendo in essere una sorta di “fusione per incorporazione” della nozione previdenziale di retribuzione in quella fiscale.
Ed invero, anche a seguito della riforma del 1997, troviamo una definizione ampia di imponibile fiscale, che include in essa ogni provento collegato, direttamente o indirettamente, al rapporto di lavoro.
Al riguardo, con la sentenza in esame, la Suprema Corte ha ritenuto che, in materia di mutui a tassi agevolati concessi da un Istituto di credito a favore dei propri dipendenti, affinché sia ravvisabile un’attribuzione economica in favore del dipendente, imputabile al rapporto di lavoro e costituente, pertanto, elemento della retribuzione imponibile, è necessario il concorso di condizioni contrattuali non giustificabili nel quadro dell’esercizio dell’attività imprenditoriale bancaria.
Da tali ineludibili premesse deriva che, qualora sussistano elementi non collegati allo svolgimento del rapporto di lavoro, ma all’esercizio dell’attività imprenditoriale dell’Istituto di credito e che giustifichino la concessione dei predetti benefici ai propri lavoratori, si escluderebbe l’applicabilità dell’art. 12, l. n. 135/1969 e pertanto l’assoggettabilità del beneficio economico conseguito dal lavoratore all’onere contributivo.
Tali elementi – a detta del Collegio – possono essere individuati nelle circostanze indicative del normale svolgimento dell’attività imprenditoriale del datore di lavoro:
1. l’assenza di obblighi, da parte della contrattazione collettiva, aventi ad oggetto la concessione di tali benefici, nonché la misura, le modalità e i termini degli stessi;
2. l’esistenza di un autonomo contratto tra Istituto e dipendente, inerente all’esercizio dell’attività imprenditoriale del datore di lavoro;
3. il rispetto di tutte le norme che regolano l’attività imprenditoriale in questione, assoggettata ad autorizzazioni, controlli amministrativi ed istruttorie interne alla Banca;
4. ancora, l’assenza di tariffe o di condizioni economiche di generale applicazione.
La concessione di mutui a tassi agevolati ai propri dipendenti è stata, quindi, ricondotta ad una precisa strategia imprenditoriale dell’azienda, volta a riconoscere vantaggiose condizioni economiche ai dipendenti in quanto soggetti selezionati e controllati, rispetto ai quali è prevedibile, per l’Istituto di credito, una bassa propensione all’inadempimento.
Ciò considerato resta privo di rilievo, in ossequio alla pronuncia della Suprema Corte, l’esistenza di un tasso agevolato, inteso quale beneficio concesso al dipendente in quanto legato all’azienda da un contratto di lavoro, posto che resta nella discrezionalità della Banca decidere quali tassi applicare ai singoli clienti.
Parimenti, è priva di rilievo la circostanza che il tasso agevolato praticato dalla Banca sia subordinato ad un determinato stato di servizio del lavoratore, in quanto anche tale circostanza sarebbe funzionale su un piano strettamente economico ed imprenditoriale.
La pronuncia in parola accoglie l’orientamento maggioritario della giurisprudenza in materia di retribuzione imponibile, formatosi nel vigore dell’art. 12, l. n. 153/1969, in ossequio al quale, sebbene debbano rientrare nella nozione di retribuzione imponibile ai fini contributivi tutte le somme di denaro corrisposte al lavoratore dal datore di lavoro, debbono, tuttavia, venire escluse quelle originate da una causa autonoma, ancorché occasionata dal rapporto di lavoro.
L’erogazione di detti mutui troverebbe innanzitutto la propria fonte in un autonomo contratto inerente all’attività imprenditoriale del datore di lavoro, in assenza di obblighi derivanti dalla contrattazione collettiva (conforme, Cass. 23 marzo 2001, n. 4262). In secondo luogo, non sarebbe ravvisabile nemmeno una deroga ai tassi e alle condizione generalmente praticate, posto che l’Istituto di credito è e resta libero di praticare una politica di ampia personalizzazione delle tariffe rispetto ai singoli clienti e alle specifiche situazioni concrete.
Tuttavia, la ragione fondamentale resta quella fondata sull’utilità economica, di cui godrebbe direttamente l’Istituto di credito, e collegata all’esercizio dell’attività imprenditoriale del datore di lavoro, atteso che i dipendenti sono considerati soggetti di comprovata solvibilità o, in ogni caso, di bassa propensione all’inadempimento.
Pertanto, la Cassazione, pur interpretando in maniera ampia e vasta la nozione di retribuzione imponibile, si mostra estremamente cauta, invece, quando si tratti di mutui a tassi agevolati concessi da Istituti di credito ai propri dipendenti, ravvisando, in tali ipotesi, elementi ed interessi non collegabili, nemmeno indirettamente, al rapporto di lavoro.