Con la sentenza in commento, la Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione, uniformandosi al prevalente orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, ha chiarito che la decadenza di cui all’art. 47 D.P.R. n. 639 del 1970, all’art. 6 D.L. n. 103 del 1991, convertito in legge n. 166 del 1991, e all’art. 4 D.L. n. 384 del 1992, convertito in legge n. 438 del 1992, non trova applicazione in tutti quei casi in cui la domanda giudiziale sia rivolta non già al riconoscimento del diritto alla prestazione previdenziale in sé considerata, ma solo all’adeguamento della prestazione già ottenuta, perché riconosciuta solo in parte e liquidata in un importo inferiore a quello dovuto. In tali casi, spiega la Corte, la pretesa non soggiace ad altro limite che non sia quello della ordinaria prescrizione decennale.
La correttezza della ricostruzione del quadro normativo di riferimento nei termini sopra richiamati risulta, peraltro, proseguono gli Ermellini, indirettamente avvalorata dall’art. 38, primo comma, lett. d), del D.L. n. 98 del 2011, convertito in legge n. 111 del 2011. Invero, la novella della norma in questione – che prevede l’applicazione del termine decadenziale di cui all’art. 47 del D.P.R. 30 aprile 1970 n. 639, anche alle azioni aventi ad oggetto l’adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di accessori del credito – detta una disciplina innovativa con efficacia retroattiva limitata ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore delle nuove disposizioni, con la conseguenza che, ove la nuova disciplina non trovi applicazione, come nel caso di giudizi pendenti in appello alla data predetta, vale il generale principio dell’inapplicabilità del termine decadenziale.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GABRIELLA COLETTI DE CESARE – Presidente
Dott. PIETRO VENUTI – Rel. Consigliere
Dott. ULPIANO MORCAVALLO – Consigliere
Dott. LUCIA TRIA – Consigliere
Dott. GIULIO FERNANDES – Consigliere
ha pronunciato la seguente
sul ricorso 20851-2009 proposto da:
D. B., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli Avvocati CELENTANO GIOVANNI, TORTORELLA ANTONIETTA, giusta delega in atti;
– ricorrente –
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE 80078750587;
– intimato –
avverso la sentenza n. 4270/2008 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 10/11/2008 R.G.N.3129/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/09/2012 dal Consigliere Dott. PIETRO VENUTI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso per accoglimento del ricorso.
La Corte di Appello di Bari, con la sentenza indicata in epigrafe, ha respinto – parzialmente (per la parte non coperta da giudicato interno) – la domanda proposta dall’odierna parte ricorrente nei confronti dell’INPS volta ad ottenere, ai sensi dell’art. 4 D. Lgs. n. 146 del 1997, il ricalcolo della indennità di disoccupazione agricola, perché erroneamente liquidata sulla base del salario medico convenzionale rilevato nell’anno 1995 (e non più incrementato negli anni successivi), anziché alla stregua della retribuzione minima stabilita dalla contrattazione collettiva provinciale integrativa.
La Corte territoriale ha motivato il rigetto della domanda con il rilievo della intervenuta decadenza dall’esercizio del diritto ex art. 47 D.P.R. 30 aprile 1970 n. 639 e successive modificazioni e integrazioni, per essere stata l’azione giudiziaria proposta dopo i1 decorso di un anno e trecento giorni dalla data della originaria domanda amministrativa della prestazione di disoccupazione.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’originaria parte ricorrente, indicata in epigrafe, sulla base di un unico motivo.
L’INPS non ha svolto difese.
La presente sentenza e redatta con motivazione semplificata, cosi come disposto dal Collegio in esito alla deliberazione in camera di consiglio.
Con l’unico motivo parte ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 47 D.P.R. n. 639 del 1970, dell’art. 6 D.L. n. 103 del 1991, convertito in L. n. 166/91, e dell’art. 4 D.L. n. 348/92, convertito in L. n. 438/92, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per avere la Corte territoriale ritenuto applicabile il regime decadenziale delineate dalle norme dianzi indicate anche alla domanda di riliquidazione di prestazione attribuita dall’Istituto previdenziale.
Il motivo è fondato.
Secondo l’orientamento prevalente di questa Corte, consolidatosi con la pronuncia delle Sezioni unite n. 12720 del 2009, la decadenza di cui all’art. 47 d.p.r. n. 639 del 1970, all’art. 6 d.l. n. 103 del 1991, convertito in legge n. 166 del 1991, e all’art. 4 d.1. n. 384 del 1992, convertito in legge n. 438 del 1992, non trova applicazione in tutti quei casi in cui la domanda giudiziale sia rivolta non gin al riconoscimento del diritto alla prestazione previdenziale in se considerata, ma solo all’adeguamento della prestazione già ottenuta, perché riconosciuta solo in parte e liquidata in un importo inferiore a quello dovuto. In tali casi la pretesa non soggiace ad altro limite che non sia quello della ordinaria prescrizione decennale.
La correttezza della ricostruzione del quadro normativo di riferimento nei termini sopra richiamati, risulta indirettamente avvalorata dall’art. 38, primo comma, lett. d), del di. n. 98 del 2011, convertito in legge n. 111 del 2011, intervenuto nelle more del presente giudizio e interpretato da questa Corte (v. Cass. n. 6959/12 e numerose successive conformi) nei sensi di cui al seguente principio di diritto: “In Lenin di decadenza delle azioni giudiziarie volte ad ottenere in riliquidazione di una prestazione parzialmente riconosciuta, in novella dell’art. 38 lett. d) del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv. in 1. 111 del 2011 – che prevede l’applicazione del termine decadenziale di cui all’art. 47 del d.P.R. 30 aprile 1970 n. 639, anche alle azioni aventi ad oggetto l’adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di accessori del credito – detta una disciplina innovativa con efficacia retroattiva limitata ai giudizi pendenti in prima grado alla data di entrata in vigore delle nuove disposizioni, con in conseguenza che, ove la nuova disciplina non trovi applicazione, come nel caso di giudizi pendenti in appello alla data predetta, vale il generale principio dell’inapplicabilità del termine decadenziale”.
Alla stregua di tali principi, condivisi da questo Collegio, la sentenza impugnata – che ha applicato alla fattispecie in esame la decadenza di cui all’art. 47 D.P.R. n. 639/70 e successive modificazioni ed integrazioni – deve essere cassata, con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale dovrà provvedere anche in online al regolamento delle spese processuali.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Bari, in diversa composizione, anche per le spese.
Così deciso in Roma il 19 settembre 2012.
IL PRESIDENTE
Gabriella Coletti De Cesare
L’ESTENSORE
Pietro Venuti
Depositata in Cancelleria l’8 novembre 2012